Mostre

PASCAL SCHWAIGHOFER – MISHA STROJ

30.03.2012—26.05.2012

Il progetto espositivo presenta le prime personali italiane di Misha Stroj (1974, vive e lavora a Vienna) e Pascal Schwaighofer (1976, vive e lavora a Mendrisio e Rotterdam).
Entrambi gli artisti condividono un approccio di carattere analitico al loro lavoro e sono orientati a interrogare i mezzi e la natura del linguaggio artistico ancora prima di interessarsi a temi e argomenti determinati. La mostra è in tal senso uno scacchiere di posizioni, di contrasti e assonanze intuitive tra i diversi lavori.

Il lavoro di Misha Stroj prende avvio da ricerche storiche e sociali sui luoghi in cui egli espone. In diverse opere l’artista affronta il tema dei rapporti economici e delle forze materiali operanti nella società e nell’industria culturale, sino a mettere in questione i meccanismi stessi del sistema dell’arte e la logica di cosa determini il valore e il significato di un’opera d’arte. Le opere in mostra informano un racconto personale istruito nei termini di una paradossale narrazione intima in cui il vissuto personale dell’artista compare trasfigurato e letto in relazione con elementi tratti dalla storia economica europea e dalla cultura italiana letteraria del secondo Novecento.
Die Säule mit dem Knie (2010) unisce in un’unica scultura un calco del ginocchio di Stroj e una colonna d’acciaio della stessa altezza dell’artista prelevata da uno stabilimento industriale abbandonato a Berlino. Quasi un ironico autoritratto dell’artista al tempo della crisi del mondo industriale in Europa, la scultura è un’unione antitetica di due materiali lontanissimi tra loro, dove il calco in gesso, forma evocativa del corpo umano, prova ad animare la colonna di acciaio, residuo pesante della memoria industriale novecentesca. Prosegue su un versante di spiazzante autobiografia anche Index Broken (2012), calco della mano dell’artista il cui dito indice appare spezzato. Come un riferimento indicativo al rapporto tra identità personale e mondo esterno, tra cognizione di sé e alterità, Index Broken appare un tentativo di comunicazione visiva interrotto a metà strada da ragioni ignote e irrevocabili. Intorno ad altri interventi dell’artista in mostra aleggia il riferimento ideale alle pagine de La vita agra di Luciano Bianciardi. Pubblicato nel 1962 e capace di interpretare anzitempo il boom economico italiano degli anni Sessanta e il suo impatto sui costumi sociali degli Italiani, catturati dalla società dei consumi e da ritmi di lavoro di tipo industriale, l’opera di Bianciardi è nelle riflessioni di Stroj uno strumento di analisi privilegiato. Che rapporto c’è oggi in Europa tra libertà creativa e industria culturale e che possibilità di azione è rimasta agli artisti? Stroj ripercorre la traccia delle visionarie riflessioni di Bianciardi, intessendo per mezzo di collage, fotografie e citazioni un dialogo con lo scrittore italiano, nel tentativo di opporsi allo scacco esistenziale con cui si chiude la vicenda del protagonista del romanzo.

Pascal Schwaighofer dissemina un’entropia inarrestabile all’interno delle forme da lui create – costellazioni oggettuali colme di riferimenti alla geografia, alla storia naturale, all’archeologia e alla cultura orientale. A determinare la matrice di partenza del suo operare è un rapporto dialettico tra forma chiusa e indeterminazione, tra canone e infrazione. Il progetto di Schwaighofer per la mostra presso l’ar/ge kunst si articola in due lavori indipendenti posti tra loro in relazione, entrambi accomunati da riferimenti alla cultura orientale e da una riflessione sulla stampa come tecnica di riproduzione e divulgazione. Nel primo, Atlas (Theatrum Orbis Terrarum) (2009-10), l’artista ha raccolto una molteplicità di mappe cartografiche di diversi paesi per sottoporle a un processo di trasmutazione mediante la tecnica artistica giapponese nota come Suminagashi. L’inchiostratura monostampa di una superficie di colori sulle mappe dissemina un nuovo codice di lettura, distorcendo il potere di rappresentazione istruito dai canoni cartografici. Forme geopolitiche definite derivano verso dimensioni immaginarie e imprevedibili, in un’espansione concentrica dove il canone della ragione cartografica è disfatto e il suo disfarsi è un processo messo a nudo sotto gli occhi dello spettatore nelle linee sinuose degli inchiostri in tecnica Suminagashi. ¿Qué horas son en el Japon? (2011) è un’appropriazione di Schwaighofer di alcune stampe giapponesi settecentesche di Hokusai, raffiguranti le onde dell’oceano e personaggi colti in scene quotidiane e rituali. Tali immagini sono riprodotte dall’artista con la tecnica dell’emulsione fotografica in camera oscura direttamente sulle pareti dell’ar/ge kunst, per diventare parte integrante dell’intonaco. Le iconografie tradizionali sono in tal modo riportate a nuova vita mediante un passaggio multiplo di traduzioni e tecniche formali (la fotografia, l’emulsione, l’applicazione a muro) che carica le immagini di successive risonanze e stratificazioni, sino a congelarle in uno stato di potenziale eternità nel corpo stesso dello spazio espositivo.