Installation view, Katarina Zdjelar,  Everything is Gonna Be, video, 2008 Courtesy the artist Foto: M. Pardatscher
Mostre

KATARINA ZDJELAR – MICHAEL HÖPFNER

25.06.2010—14.08.2010

A cura di Luigi Fassi

Impegnati in modi diversi a produrre una riflessione sui modelli della memoria e dell’immaginario collettivo all’interno della cultura occidentale, Katarina Zdjelar e Michael Höpfner esercitano un’analisi critica profonda degli sviluppi politici ed economici del mondo contemporaneo.
In A Girl, the Sun and an Airplane Airplane (2007) Katarina Zdjelar ha chiesto ad alcuni cittadini di Tirana, la capitale dell’Albania, di provare a parlare liberamente in russo all’interno di uno studio di registrazione. L’obiettivo dell’artista è di lasciar riaffiorare, in termini di memoria linguistica, quanto rimasto della stagione della dittatura sotto Enver Hoxha, quando il russo era la lingua di riferimento culturale e politico dell’Albania. L’opera è un tentativo di scavo nelle profondità dell’inconscio collettivo, indagato dando spazio alle reminiscenze linguistiche individuali proprie di un tempo passato. I cittadini più anziani di Tirana coinvolti dall’artista rammentano una molteplicità di parole e di frasi, per quanto spesso disarticolate e incoerenti tra loro, mentre i più giovani provano ad attingere invano ad una memoria linguistica e culturale che appare ancora oscuramente presente ma ormai inaccessibile nei suoi codici determinati. Lasciando reagire tra loro la dimensione contemporanea dell’Albania democratica con la memoria frammentata sul passato recente del Paese, A Girl, the Sun and an Airplane Airplane interroga il rapporto tra la realtà dei fatti storici e la loro assimilazione sul piano privato e individuale.

Everything is Gonna Be (2008) è un’opera video realizzata dall’artista in Norvegia con il coinvolgimento di un gruppo di persone di mezza età, cresciute nell’agio del welfare norvegese sviluppatosi dagli anni Sessanta in poi. Il gruppo, un coro amatoriale di amici, si è cimentato su richiesta dell’artista nell’esecuzione della celebre canzone dei Beatles “Revolution”, un dialogo a due incentrato sulla stagione del 1968 e sul rapporto irrisolto tra rivoluzione e violenza, cambiamento sociale ed estremismo politico. L’uso fluido ma imperfetto della lingua inglese da parte dei cantanti diventa nell’opera dell’artista la rappresentazione simbolica di una loro inadeguatezza rispetto al contenuto della canzone, la messa in scena di una distanza tra le ambizioni giovanili e gli esiti delle biografie personali dei cantanti. Everything is Gonna Be apre in tal modo una riflessione sull’idea politica dell’Europa e sul ruolo civile e culturale dei suoi cittadini nello scenario del mondo contemporaneo.

Erosione, identità, memoria e dispersione sono le parole chiave anche della ricerca di Michael Höpfner. L’artista austriaco ha sviluppato nel corso degli ultimi anni un’attività artistica incentrata su un’erranza geografica e culturale, realizzata percorrendo a piedi regioni periferiche e paesaggi desertici in diversi continenti. Outpost of Progress (2005-2010) è l’esito di otto settimane di percorso condotto da Höpfner attraverso l’altipiano del Chang Tang nel Tibet occidentale, una regione abitata da circa cinquantamila persone di antica tradizione nomadica. Territorio precluso al libero ingresso di turisti e cittadini stranieri e tra i più ignoti del pianeta, il Chang Tang si è rivelato nel corso dell’esplorazione dell’artista sede di molteplici interventi di devastazione ambientale e architettonica. Lontana da ogni ideale di idillio naturale e purezza ambientale, la regione tibetana documentata da Höpfner appare al contrario un avamposto del degrado del pianeta operato da parte della cultura industrializzata, il teatro di una cancellazione di culture e tradizioni radicate da millenni. Tra rifugi, grotte e capanne, gli abitanti del Chang Tang resistono all’avanzare della modernità globale, opponendo mediante le forme di un’invisibilità nomadica la difesa del proprio mondo culturale in dissoluzione. Tramite la presentazione di regesti fotografici, diapositive e moduli abitativi essenziali derivati dalle architetture effimere della regione, Outpost of Progress smentisce l’idealizzazione di armonia e omogeneità associata ai grandi territori naturali mostrando la brutalità dell’antagonismo fra stanzialità e nomadismo, tradizione e sviluppo.