Mostre

IDEE

15.11.2002—08.01.2003

Valerio Olgiati
A cura di Christoph Mayr Fingerle

Architettura tra ordine ed arbitrio. Proseguendo la serie di mostre su “L’architettura dei Paesi confinanti”, dopo la mostra sugli architetti tirolesi Norbert Fritz e Rainer Köberl (1997) e la quarta edizione del Vorarlberger Hypo – Bauherrenpreis (2001), l’Ar/Ge Kunst propone una personale di Valerio Olgiati, un architetto dei Grigioni. La famiglia Olgiati è originaria di Flims, una cittadina che dista circa venti chilometri da Coira, dove il padre Rudolf ha esercitato il mestiere di architetto fino al 1994, influenzando decisamente l’architettura moderna nei Grigioni. Valerio Olgiati, nato nel 1958, si è imposto di recente sulla scena architettonica internazionale soprattutto attraverso due progetti: la scuola di Paspels nel 1998 e “Das Gelbe Haus” a Flims nel 1999. Questi edifici hanno ottenuto diversi riconoscimenti, tra gli altri nell’ambito di “Architettura contemporanea alpina, 1999”, il Premio di Architettura di Sesto, l’”Architekturpreis Beton – 2001” e una segnalazione di “Gute Bauten Kanton Graubünden – 2001”. La mostra dal titolo bilingue “idee” pone l’idea ed il principio informatore al centro dell’attenzione. Valerio Olgiati non deriva i progetti dal disegno, bensì essi vengono definiti concettualmente e poi concepiti direttamente al computer. Non gli interessano tanto gli aspetti scultorei e figurativi dell´architettura, né il significato particolare del materiale e delle superfici, quanto i nessi strutturali ed i principi generali, indipendentemente da correnti di stile e dal gusto comune. “Preferisco decidere i parametri in modo tale che definiscano in larga misura il progetto. Se li dispongo in forma strategica, si presenta sempre una strada per arrivare ad un progetto. Per modo di dire, faccio nascere una casa da sola sotto l’influsso di questi fattori di condizionamento. Il progetto non mi deve piacere dal punto di vista formale: io lo devo trovare il più corretto possibile dal punto di vista del contenuto. E per arrivare fin lì la strada è lunga.” Un altro aspetto particolare nel lavoro progettuale dell’architetto è la presenza di fratture e scostamenti che spogliano i suoi lavori di qualsiasi carattere accademico. “Infrangere la regola è un colpo di mano che fa apparire sotto una luce nuova quanto si conosceva fino ad allora. Solo quando esco da una cornice comincio a pensare. E’ una questione d’istinto. L’infrazione infine è anche una forma di composizione. Quando le cose restano assolutamente nella regola, allora viene a mancare molto. La situazione comincia a farsi interessante quando un edificio rappresenta cose che non si possono spiegare. Nasce per così dire una sorta di evento metafisico. Se un pensiero oppure un’azione non si fanno decifrare oppure anche soltanto seguire fino in fondo, allora un edificio resta magico per chi vi abita o per chi lo osserva. Questa deformazione, una specie di mutazione, è arbitraria ed è priva di qualsiasi logica. Attraverso questo gesto nascono magnifici spazi modellati. E proprio qui, nella tensione tra ordine ed arbitrio si manifesta la mia capacità di operare la scelta ‘giusta’. L’architettura è una disciplina dalle regole proprie. Il suo materiale grezzo per me ha a che fare più con la matematica che con la fenomenologia.” Queste intenzioni vengono visualizzate in mostra attraverso fotografie, proiezioni, disegni al computer e plastici.